La bibliotecaria anarco-post-punk / spennellare personaggi #3
La bibliotecaria anarco-post-punk / spennellare personaggi #3

La bibliotecaria anarco-post-punk / spennellare personaggi #3

Liberamente ispirato dalla storia di un essere umano realmente esistente. (Be patient, Alice, se ti ho saccheggiato la vita)

Entro nella biblioteca.
Quella pubblica.
La porta cigola poichè l’ultimo demente che non si è pulito le scarpe sull’apposito zerbino ”Benvenuti”, si è invece evidentemente peritato di depositare i sassolini incastrati nella suola esattamente sotto la battuta della porta.
Fantastico! Benissimo!
Adesso oltre al cigolio posso ascoltare un raschio strascinato di millimetrici lito-detriti in attrito sul marmo del pavimento. Melodiosi suoni che si posizionano nella zona d’ombra tra La Traviata e il raspar di unghie sulla lavagna.

Superato il trauma acustico, mi dirigo deciso verso il bancone della biblioteca: sono un grande lettore, ed oggi ho un po’ di tempo libero che vorrei dedicare a questo sano piacere.
Ad attendermi trovo una figura che si staglia colorata vicino ad un monitor del computer che vedo solo nel retro.
Una donna coloratissima, ma vestita con abiti ordinari e scuri.
Gli occhi di un intenso verde sono mascherati da grossi occhiali viola, due o tre volte la misura del suo sguardo.
I capelli sono modellati da una capigliatura indescrivibile, che si ispira alternativamente ad una Hitleriana riga laterale, alla rasatura di un soldato o alla verticalità di una cresta punk alla Sid Vicious.
La metà sinistra è infatti rasata, colorata di giallo. L’altra metà sfuma verso il viola, e erigendosi in maniera pericolosamente punk al centro, degrada disordinatamente verso destra, dove gli ultimi ricci – presenti al solo fine di completare la varietà di possibili ”coiffage” – si spengono attorcigliandosi intorno ad un grappolo di piercing (piccoli anellini, elefanti, spine piantate, aculei, catenine, diamantini) che traforano l’orecchio.
Ora capisco: la sensazione di colore è data unicamente dal volto della bibliotecaria.

La guardo un po’ sorpreso .
Anche lei mi guarda, per nulla turbata, con uno sguardo attento e noncurante al tempo stesso.

”Ecco… ehm…” cincischio io.
”Desidera prendere un libro?”, mi chiede gentile e decisa lei.
”Ehm… sì, sì… certo. Cercavo un romanzo piuttosto recente: Lui è tornato, di Timur Vermes”, riesco a dire con più determinazione verso la fine della frase. Mi sto riprendendo dalla sorpresa del suo look.

Passano alcuni secondi, poi lei mi risponde con un frase ordinaria (”Certo, vedo subito se lo abbiamo”) che è tuttavia un’opera d’arte. Una composizione articolata di differenti emozioni, pensieri, opinioni, intenzioni.
Ha la gentilezza di chi è lì per servirti.
Il profondo disprezzo verso il mondo tipico del punkettone.
La professionalità della vera esperta.
Il totale menefreghismo del post-anarchico.
Il distacco completo di coloro per cui non conto nulla.
Una personalità consistente e impenetrabile.
Un tono di voce fermo, deciso e al tempo stesso gentile: difficilmente mi permetterei di contraddirla.
Parla chiaramente. Si muove poco, con destrezza, ma non è rigida. Sposta il suo sguardo – penetrante quanto distaccato – dal centro mia della pupilla direttamente al monitor. Poi manovra il mouse con sicurezza e scioltezza.
Vedo i suoi occhi puntare diverse parti dello schermo. Un sopracciglio si alza, accenna la bocca al sorriso. E questo è tutto quello che mi permette di percepire del suo mondo interiore.
Poi recupera tutto il suo aplomb, e torna imperturbabilmente sicura.
Mi osserva per un nanosecondo con la coda dell’occhio e si dirige nei dungeon della biblioteca sparendo dalla vista.
Intravedo un’ultima parte del suo corpo: uno scarpone rosso rovinatissimo sotto il tailleur blu, da cui spunta una calza strappata lungo il polpaccio.

”Porca miseria, che personalità!” mi dico mentalmente. ”Mi stavo agitando solo per chiederle un libro… ma ti pare a te?”
Per scaricare la tensione devo fare un respiro profondo, girarmi verso la sala lettura per muovere il corpo e distrarre la mente osservando altri lettori: un pensionato di fronte ad un librone, uno studente con le cuffie immerso nella lettura di un piccolo testo (sarà un Bignami?), una coppia di ragazzi alla postazione multimediale, dove c’è internet gratis.

Mi perdo un po’ nei miei pensieri. Mi chiedo cosa mi abbia messo così a disagio di lei.
Forse il look folle portato con disinvoltura?
L’impressione che lei si sia veramente emancipata da tutti i condizionamenti della società e sia libera? Ma come ha fatto?
Come può strafregarsene del parere degli altri quando alle conferenze si presenta coi capelli giallo-viola, mezzi tagliati e mezzi punk, a parlare di Wodsworth? Come può intervenire con disinvoltura esprimendo le sue riflessioni sul romanzo, sui miti, su temi e topoi, disquisendo di poesia come flusso di coscienza, con quell’opera d’arte contemporanea sulla testa?
Cosa fa, magari si mette anche la maglietta con la A dentro al cerchio?
La invidio un poco. Anzi, un bel po’!

Il suo ritorno manda in frantumi il mio flusso di coscienza.
Mi risveglio quando poggia con un certa verve il libro sul banco. Un tomo di almeno seicento pagine.
”Ecco qui il libro che ha richiesto”, dice asciutta.
”…”… non so cosa dire.
”Le serve altro?”, riprende.
”Ehm…”, ma che figura da idiota che ci faccio… un altro “ehm”… mi pare di essere ad un esame, minchia!, ”no grazie, per oggi è abbastanza”.
Poi non so cosa mi accade. Un getto di energia al centro della pancia mi da una temporanea forza interiore per replicare con un sorriso da piacione sicuro di se sulla faccia: ”Anzi, viste le dimensioni credo sarà abbastanza per un bel po’”.

Mi giro sorridendo, soddisfatto. Non mi interessa di come mi sta guardando. Affari suoi.

Mi siedo quindi ad uno dei tavoli, per immergermi nella lettura.
Un bel libro, un bel libro davvero.
Hitler torna, risvegliandosi da un lungo sonno, in una Berlino dei giorni nostri. Leggo, ingurgito parole, pensieri, fatti, dialoghi: mi immedesimo nel fuhrer dimenticando sempre di più l’ambiente circostante. Non mi chiedo neanche più come mi stia guardando la bibliotecaria anarco-post-punk. Se suscito il suo interesse, se mi considera l’ennesimo idiota di passaggio, se mi stima per il libro che le ho richiesto.

Il mio trip interiore viene interrotto dalla voce della ragazza alla postazione multimediale, quella della coppia di pischelli.
”Mi scusi”, pronuncia con un tono leggermente troppo alto, rivolgendosi alla bibliotecaria, ”qui c’è qualcosa che … non… v.. a c. .. o. .n i cmptere .. .. .. .”.
Senza ricorrere a nessun tecnasma, senza usare tecniche di PNL, la bibliotecaria aveva immediatamente cominciato a fissare la ragazza non appena si era accorta del volume eccessivo. La poverella, resasi conto dell’occhiata degna del miglior psycho – una serena follia, che lungi dal darti la sicurezza su cosa sia pronto a farti il tuo carnefice, ti lascia in una angosciante ambiguità riguardo al futuro della tua vita nei prossimi 20 secondi – non riusciva quasi più a parlare.
Sembrava si fosse bloccata durante una interrogazione, di quelle programmate, a cui si va sapendo la lezione perfettamente.
Poi, quattro secondi di completo mutismo e silenzio, simile a quello che precede le catastrofi naturali e le eclissi solari, che avevano probabilmente involuto il flusso del tempo riducendo le capacità della ragazza a quelle di uno stadio sub-umano: ora riusciva solamente ad emettere suoni glossolalici.

La bibliotecaria punkettona, lasciata la ragazzotta cuocere nel proprio brodo, si avvicina a passi lenti ma decisi, mentre il massimo che la sua vittima riesce a pronunciare sono dei ”ghh.. scs.. qu… i … fn”.

Cerco nel frattempo di continuare la lettura: la personalità di questo Furher, preso inizialmente per un attore comico, mi ha entusiasmato esageratamente. La determinazione, il fanatismo sfrenato, la logica rigida priva di qualsiasi umanità che diventa la chiave del suo successo… è tutto fantastico. Sento di nuovo qualcosa di effervescente tra i polmoni e lo stomaco.
Leggendo le gesta del pazzo, sono di nuovo anche io pronto all’azione.

internet1”Mi dica”, comincia con un tono basso e delicato la bibliotecaria, ”cosa succede alla postazione?”.
”Ehm… ecco”, pronuncia insicura la ragazza. ”Ah, brava, allora anche tu ti sei fatta mettere in soggezione dalla punkettoncella, eh?”, penso fra me e me.
”…Ho provato .. .a c-c-collegarmi… ma..”, che fatica per lei esprimere con parole questo concetto banale, ridotta come è in uno stato di totale soggezione ”ecco… ehm… mi pare che… il c-c-c-omputer… non.. ecco… non fnzn”…
”Il computer …cosa?”, fa eco con la sua voce gentile e granitica la bibliotecaria.
”Ma che si sta divertendo, la stronza?” mi domando. Potrebbe anche essere, perché no?
”Ehmmm..si, volevo dire…”, mio Dio, soffro per lei, una ragazza del liceo ancora imberbe, nella pentola a pressione della vita, riesce solo a balbettare una risposta… ”il cmptr nn fnzn”, dice, poi fa un bel respiro, si fa coraggio, ”uff.. il computer non funziona”, pronuncia con un fil di voce.
”Mi faccia vedere”, riprende secca la bibliotecaria avvicinandosi al monitor.
Chissà per quale imperscrutabile motivo, la ragazza sembrava essersi ripresa dalla catatonia, e fatto un altro bel respirone, dice ”Io credo siano i pixel java pics”.

Poi accade l’inatteso.

Il ragazzo accanto a lei, probabilmente un sub-umano sin dalle origini, nato dall’incrocio di un uomo di Neandertal con un Game Boy, con una ingenua disinvoltura le fa eco: “No. E’ il generale”.
E la bibliotecaria, ferma ma basita: “Quale generale?”.
E lui “Il sistema. Il GENERALE!!!”.
Ecco. Queste sono dimostrazioni pratiche di come le caratteristiche di una personalità non siano necessariamente mutualmente escludentesi anche se apparentemente in contraddizione. In questo ragazzo ad esempio, lo stato di sub-umanità si era incrociato con una certa audacia condita da uno spirito naive e da una pseudo-competenza informatica.

E qui allora non ce l’ho più fatta. Probabilmente il carattere del comando determinato e schizofrenico era cresciuto rigoglioso durante la mia lettura. Di nuovo la sensazione di energia. Mi alzo. Rigido e deciso mi dirigo verso la postazione.
La bibliotecaria mi osserva senza esprimere alcuna emozione.

”Sono un ingengere informatico”, dico con un grande aplomb rivolto alla coppia di ragazzi, ”posso spiegarvi quale sia il problema”.
Pausa. E serenità in me. Sicurezza. Determinazione.
Riprendo: ”In questi casi sono le interfacce delle classi Javascript, che quando aprono una connessione ODBC al database nel backend, modificano le proprietà del layout con le direttive CSS.”
Silenzio. Li lascio ragionare a vuoto, poiché quello che gli sto dicendo è evidentemente arabo per loro.
”Ovviamente questo provoca problemi di visualizzazione a te, mia cara ragazza”, pronuncio scandendo le parole, ”e probabilmente gravi turbe psichiche a te, ragazzo mio, che – disturbato nel fragile equilibrio del tuo bipolarismo vetero nazista – rimembri i fatti di un tempo, Weimaresche immagini in bianco e nero di uomini con divise e mustacchi!”

4527281_0Non era semplicemente sceso il silenzio per lo stupore di questa folle e inopportuna sparata, bensì qualcosa di più estremo era accaduto. Ogni organismo umano e sub-umano aveva rallentato le sue funzioni vitali. Il respiro, la sintesi proteica, la mitosi, l’endocitosi, la replica del DNA, il pensiero, i tic. Anche il pensionato, la cui mano tremante tradiva un inizio di parkison, adesso era completamente immobile.
La bibliotecaria, ah sì, ora anche lei!, mi osservava con un certo interesse, e potrei giurare che con la lingua avesse cominciato a rivoltarsi in bocca il piercing che gliela trafiggeva.

Riprendo non curante, vittima del mio invasato discorso, fissando il ragazzo e scandendo con chiarezza e a voce alta: ”Mi stupisco anzi come LEI non si sia alzato in piedi, sull’attenti, battendo i tacchi e abbia urlato con voce marziale: “E’ il FELDMARSHALL!”, e concludo in contemporanea con un saluto nazista che fa sobbalzare indietro la coppia di ragazzi e allargare la pupilla della bibliotecaria.

Poi, sereno, torno a sedermi. Riapro il libro e mi rimetto a leggere dal segno.

Credevo si creasse, infine, un clima post-atomico, fatto di frasi pronunciate sottovoce e persone che si defilavano silenziosamente per non dare nell’occhio. Sguardi obliqui, intimoriti, sconvolti dalla catastrofe. Paura e silenzio. Di tutti.

Invece la bibliotecaria riprende, ravvivandosi un poco il ciuffo centrale di capelli, come se nulla fosse accaduto ”Ragazzi avete sentito l’ingegnere?”.
”….”, loro, muti.
”Per oggi si va a casa. Qui dobbiamo chiamare un tecnico”

”Maledetta bibliotecaria anarco-post-punk”, penso fra me e me alzando lo sguardo e osservando la scena del loro dialogo, ”non ti sei scomposta nemmeno questa volta!”.

g

 

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Pictures in this post by George Bohunicky on Unsplash
and by madaise (http://www.flickr.com/photos/madaise/147347015/) [CC BY 2.0], attraverso Wikimedia Commons

0 commenti

  1. …che dire….bellissimo pezzo, a partire dal soggetto 😀 No scherzo, nessuna autocelebrazione, anzi. Grande Daniele, hai lavorato molto di fantasia e sei riuscito a trarre uno spaccato ironico, vivace e anche veritiero di quello che può accadere in una Biblioteca pubblica di “nuova generazione”! Complimenti!

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