Spennellare personaggi #2: l’amico bengalese
Spennellare personaggi #2: l’amico bengalese

Spennellare personaggi #2: l’amico bengalese

Riprendiamo le spennellate. Stavolta con l’intento, dichiarato, di non scavare nelle profondità oscure dell’animo umano, ma di tenersi più sul leggero. O anche di scavare, al limite, ma senza tirare su solo detriti.

L’amico bengalese
In pratica succede che almeno un paio di volte al mese lo si incontra. Al semaforo, al benzinaio, per strada. Da qualche parte in giro per la città o per il paese. Ci si perde di vista,  magari non ci si rivede mai più. Ma non con tutti. Sicuramente – anche per te – c’è un rappresentante di questa etnia para-orientale ( “para”, poichè sebbene stia proprio sotto le chiappe della Cina, che nell’immaginario collettivo rappresenta l’Oriente con la O maiuscola, non è proprio oriente vero certificato d.o.p. ) che dopo un po’ è diventato familiare.
Un conoscente. No di più, quasi un amico.

Un appuntamento fisso alle 7,50 di mattino (a che ora si alza per venire qui alle 7, visto che abita fuori città?): “bongiorno capo!”. Qualche volta si acconsente al lavaggio del vetro, il più delle volte no, magari si prendono i fazzoletti o l’arbre magique all’uva spina cingalese. In qualche caso nulla, niente. Solo un saluto, un sorriso, uno sguardo, un “no grazie”, una “come va”, “oggi piove”.

Oppure una figura familiare che si associa all’odore di benzina. Perchè la benzina te la mette lui, anche se poi non c’è veramente bisogno. O forse si, le nuove pompe hanno diecimila bottoni e spesso ci si sporcano le mani di gasolio. E poi valli a capire ‘sti nuovi distributori automatici, qualcuno vuole i soldi prima, qualcuno dopo, qualcuno ha la card, altri non supportano il bancomat. Per questo ci stà l’amico bengalese: ti assiste, ringrazia, ti serve. Dice grazie e  – anche qui – sorride.

E alla fine l’euro che prima gli si dava per ripulire un po’ la coscienza, si comincia a darglielo con uno spirito diverso. Intanto si è contenti perchè, con questi suoi atteggiamenti gentili e servizievoli, ci ha fatto sentire dei veri signori. Forse solo per 1 minuto, ma in quel minuto eri davvero un signore, lui sa come farlo, sa come servire, e per questo è simpatico. Perché per lui lavorare è fare un servizio che fa sentire importante qualcun altro.

Insomma passa il tempo e alla fine non è più “er Bengalese”. Il mio amico adesso ha un nome si chiama S. e l’altra sera mi ha invitato a mangiare fuori con lui. Un buon kebab, bello gonfio, con un bel po’ di salsa piccante. Alla fine ha voluto pagare lui, non ci sono stati santi, e mi sono sentito un pulciaro perché chi lo sa se al posto suo, con pochi soldi in tasca, avrei fatto lo stesso. Mi ha raccontato di lui, che si è sposato da poco  – c’è tornato apposta, in Bangladesh – il padre che era il capo del quartiere, lui che ha un po’ di idee commerciali e vuole mettere su un business di stoffe importate dal Bangladesh.
Certo non è che tutti sono così, “buoni e simpatici”. L’essere umano è l’essere umano a qualsiasi latitudine: è anche pieno di fetusi.

Difatti a Trastevere, quando passeggiavo mano nella mano con A., non ti becco uno che si avvicina, chiaramente un bengalese, mi porge il conto corrente per il pagamento della tassa del permesso di soggiorno, dice che non ha i soldi e racconta tutta una storia tragica tragicissima sul fatto che gli hanno fregato 5000 euro minacciandolo col coltello mentre dormiva in un parco, che ha bisogno dei soldi che sua madre sta in un ospedale bengalese con una malattia gravissima, e per concludere si mette anche a piangere.
Sono basito. E’ un uomo che avrà più di quarant’anni. La maglietta a strisce orizzontali. L’odore di cipolla e di alcool. Poi le lacrime. Le nostre frasi di incoraggiamento, qualche euro, e indicazioni per la Caritas più vicina.
Rimaniamo un po’ stonati, ho una botta di sensi di colpa io che quella sera uscivo a fare il piccione con A., a cena fuori, cosa da riccone in questi tempi di crisi…

Night life at Trastevere. Rome, Italy © Jorge Royan / http://www.royan.com.ar, attraverso Wikimedia Commons https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/57/Night_life_at_Trastevere%2C_Rome_-_3351.jpg

All’ora scatta l’idea: chiamiamo S., magari ci spiega come si può aiutare una persona di questo tipo, un suo compaesano. Chiamo. Uno squillo, due squilli: “Bella Danie'”… parla romano. Certo, alla pompa di benzina tutti parlano romano. Quella è la sua scuola.
Gli racconto l’accaduto, lui mi fa un paio di domande e la prima cosa che dice è “Ma scusa ma perchè se ha problemi di soldi non ha chiesto a noi?“… ecco, ecco… vedi quanto la realtà è lontana dai sensi di colpa da borghesotto che mi porto appresso. Ha detto noi! E’ proprio così, infatti. Sono una comunità, che all’estero -cioè, qui in Italia – hanno tutti loro giri, mutuo soccorso, forse anche mutuo sfruttamento… ma tant’è, si appoggiano uno sull’altro, con regole interne, come possono. Ma in genere, se ci sono problemi, hanno una comunità di riferimento ed è assai strano che agiscano come freelancers, chiedendo soldi in giro. C’è un codice, delle modalità, delle vie di soccorso.
Ecco, vedi, ho fatto bene a chiamarlo.

“Daniè, io poi non lo so, ma secondo me lo devi lasciar perdere, quello è strano, tu sei amico mio e non voglio che sprechi i soldi così”. Altre due parole e chiudiamo la telefonata.
Anche perchè mi è venuto un luccicone agli occhi.
Non mi vuole spremere. Anzi non vuole che butto i soldi con chi se li intasca per farci chissà cosa…
Si, nella semplicità del rapporto saltuario che ci lega, S. è un vero amico.

 

 

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